Il laboratorio teatrale nasce nel 2006 all’interno della Casa Circondariale di Velletri, su richiesta dell’area pedagogica e trattamentale, a cura di Antonio Lauritano, Rita Gisi, Terry Gisi, provenienti dal mondo teatrale, musicale, e televisivo. Il laboratorio viene finalizzato non solo alla formazione di didattica teatrale dei partecipanti, ma anche attuando quella reciproca crescita di conoscenza personale e di appropriazione delle tecniche teatrali. Un altro importante punto da sottolineare è che l’area trattamentale ed i curatori hanno sempre considerato come una grande ricchezza la presenza all’interno dell’Istituto di persone di diverse culture, etnie e lingua: una ricchezza, non un impedimento: attraverso la contaminazione culturale ogni partecipante si sente più ricco e con molti meno pregiudizi, perchè, finalmente, comincia a conoscere se stesso attraverso gli altri, e gli altri attraverso se stesso. Ancora, il laboratorio si è posto l’obiettivo di far entrare all’interno di ogni singolo componente quell’idea di “rigore” che porta ogni singolo partecipante a sentirsi “libero all’interno di regole”. Logica conseguenza del percorso laboratoriale è stata la costituzione della compagnia “Il ponte magico”, punto di riferimento “esterno” che non sostituisce ma integra i laboratori che nel frattempo continuano all’interno della Casa Circondariale di Velletri, in modo da poter superare quel concetto di “episodicità” che troppo spesso è alla base delle attività trattamentali. Il laboratorio e la compagnia, insomma, divengono le due estremità del ponte, ponte che non solo può essere percorso in un verso, ma anche nell’altro, nel senso che tutto quanto realizzato deve poter servire a “formare i formatori”, in modo da rendere l’attività teatrale concreta anche nel versante “lavoro”. Il passo successivo, infatti, sarà la costituzione di una cooperativa sociale che renderà ancora più evidente le finalità che l’area trattamentale della Casa Circondariale di Velletri ed i curatori dell’attività teatrale hanno perseguito fin dall’inizio.
Tre punti dunque, nella mappa del reinserimento del detenuto: un reinserimento reale e non fittizio, concreto e non immaginario, tangibile e non ingannevole. Tutto questo è stato avvertito profondamente sia dalla direzione della Casa Circondariale che dal Tribunale di Sorveglianza che hanno concesso la rappresentazione “all’esterno” dello spettacolo “Capelli”, che a ragione può essere considerato non solo come punto di arrivo dell’attività svolta ma anche e soprattutto come punto di partenza per i nuovi traguardi che “Il ponte magico” si è già prefissa.
Altro momento fondamentale sarà la rappresentazione dello spettacolo “Caput mundi”, che consentirà non solo una verifica del lavoro svolto ma che vedrà alla fine dello spettacolo una sorta di confronto tra detenuti ed allievi delle scuole superiori di Palestrina. Non solo attori, o tecnici teatrali, dunque, ma soprattutto persone che possano essere testimoni diretti per le nuove generazioni di come certe scelte provochino conseguenze davvero dure e difficili da superare: un confronto aperto, senza edulcorazioni di sorta, in una parola, un confronto “vero”.
Come si evince da quanto esposto, la compagnia vuole porsi non solo come strumento culturale ed artistico ma anche, e forse soprattutto, come strumento sociale che possa essere d’aiuto sia a chi, pregiudizialmente, vede il carcere come una “discarica” sociale, sia a chi pensa di percorrere strade che potrebbero portarlo a vivere conseguenze tremende, conseguenze che potrebbero segnare la sua vita.
Tutto questo può il teatro: uno strumento potente che ti mette in discussione continuamente, che ti costringe a pensare, che ti emoziona.
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Analisi del contesto
Esiste un teatro carcerario? O esiste, più propriamente, un teatro che nasce, cresce e si muove all’interno del carcere? La risposta potrebbe apparire facile, addirittura semplice, se non fosse che la realtà merita una analisi più approfondita. E forse chi, da sempre, riflette ed opera all’interno di codesta realtà, sa bene che le mille e mille sfaccettature, le mille implicazioni umane, psicologiche, artistiche non possono essere liquidate in maniera semplicistica e improvvisata.
Certo, sarebbe facile etichettare il teatro carcerario come un genere a se stante, o peggio inserirlo in un non meglio identificato teatro delle diversità. Già questo basterebbe a condannare l’esperienza teatrale all’interno di un carcere a un limbo senza fine e senza tempo. Un limbo in cui tutte le emozioni e le esperienze sembrino anch’esse condannate a rimanere dentro e mai ad uscire fuori.
E, in maniera ancora più colpevole, tutto ciò tradirebbe lo spirito con cui operatori del trattamento e professionisti del settore hanno, nel corso di decenni, privilegiato il teatro come forma di espressività e di liberazione da canoni troppo spesso di comodo.
È indubbio che il teatro ha portato all’abolizione di steccati più o meno alti ed apparentemente insormontabili; che ha fatto superare quei convincimenti che impedivano ad ogni singolo detenuto di sentirsi coinvolto in qualcosa che non fosse l’appartenenza regionale o peggio ancora l’appartenenza alla criminalità organizzata; che ha dato nuove regole sostituendo quelle ormai così radicate nelle profondità di ogni singolo detenuto; che ha fatto loro provare l’ebbrezza della novità di sentirsi liberi all’interno delle stesse regole, in pratica anticipando quanto avrebbero dovuto affrontare una volta pagato il loro debito con la società.
Ed è anche indubbio che tutto questo deve nascere all’interno del carcere; è indubbio che il percorso deve partire dal vissuto di ogni singolo detenuto e che non può prescindere dal luogo in cui dovranno affrontare anni di permanenza.
Come ogni ponte che si rispetti, anche il teatro ha bisogno di un luogo di partenza, ma anche di un luogo di arrivo che assolutamente non può essere lo stesso da cui si è partiti. Ecco perchè il teatro deve unire il dentro ed il fuori, proponendo ed offrendo un cammino il meno accidentato possibile. Un ponte, per sua propria ragione d’essere, fa sì che quelle differenze che opponevano le due sponde, le due rive, da cui nasce probabilmente il termine rivali, una volta unite si riuniscano in un tutt’uno, non indistinto e confuso, ma un tutto che tenga conto di ogni singola esperienza da cui tutti gli altri possano trarre alimento per poter affrontare la vita in maniera migliore. Non è un caso che, durante le guerre, soprattutto di matrice etnica, la prima cosa ad essere colpita sia proprio il ponte.
Il primo obiettivo è quello di cercare di costruire il ponte dentro se stessi: un ponte che possa unire quei punti dimenticati, confusi, sconnessi che pure ancora albergano all’interno di ogni singolo detenuto. Per fare ciò il teatro deve essere testimonianza, per valorizzare quelle parti di ogni singola persona che non hanno mai o quasi mai avuto la possibilità di essere espresse.
Una volta fatto questo, il secondo obiettivo sarà quello di creare un ponte con gli altri detenuti, lavorando sul corpo e sullo spazio intorno: uno spazio in cui anche altri operano, per cui sarà imprescindibile per ognuno interagire con l’altro senza prevaricazione ma dividendosi lo spazio. Ancora, in questa fase, il ponte sarà rappresentato anche dall’idea di condividere un progetto, un cammino, un obiettivo in cui si comprende che non può essere compiuto da soli; dove si comprende anche che il mutuo soccorso è indispensabile per realizzare il percorso; dove si comprende che aver bisogno di aiuto non è sintomo di debolezza e che darlo non è sintomo di forza.
Il terzo ed ultimo obiettivo sarà quello di trasferire tutto quanto è stato realizzato nella vita di tutti i giorni, nel quotidiano: soprattutto quando quel quotidiano non sarà più vissuto in carcere ma nella società.
Naturalmente a quanto esposto dovranno fare riferimento i professionisti del settore che opereranno a vario titolo all’interno del laboratorio teatrale, proprio per dare l’idea di qualcosa di pensato, costruito, attuato con professionalità, senza improvvisazioni legate alle contingenze. E tutto questo riguarderà la scelta del testo da rappresentare, testo che dovrà provenire dallo scambio delle esperienze con le singole partecipanti, in modo da definire un copione che non provenga dall’esterno, ma che sia sentito come proprio ed in cui ognuna di esse possa, anche se parzialmente, riconoscersi.
Riguarderà anche il modo di mettere in scena il testo così creato, le modalità artistiche che giocoforza saranno frutto anche di quello scambio di emozioni e pulsioni di cui ogni gruppo vive lavorando insieme quasi quotidianamente.
Recitazione dunque, ma anche elementi di regia, di scrittura creativa, di respirazione, che saranno alla base del progetto in questione; ma non solo questo: un ulteriore arricchimento verrà dalla riappropriazione del senso del proprio corpo, in modo da dare ad ogni singola partecipante la sensazione di poter gestire lo spazio esterno all’interno di sè ed il proprio corpo nello spazio esterno; che darà la sicurezza di non sentirsi goffe o, peggio ancora, ridicole e che potrà sfociare nella danza unendosi al sentire il ritmo, non solo della musica ma anche e soprattutto della parola o del silenzio. Acquisendo queste due sicurezze, ritmiche e corporee, le partecipanti potranno arricchire il proprio singolo bagaglio esperienziale. A questo serviranno dunque i due stage sul corpo e sul ritmo.
Ancora, ogni singola partecipante dovrà appropriarsi oltre che della sostanza recitativa, anche della forma, in modo da essere in grado di interpretare quanto voluto nel miglior modo possibile.
Obiettivi:
1. Presa di coscienza delle capacità espressive dei detenuti
2. Sviluppo della capacità di collaborazione con gli altri (mandare a memoria il testo, impegno, mutuo soccorso, rispetto degli orari, delle scelte, dello spazio)
3. Miglioramento della qualità dei rapporti tra operatori (Trattamento – Sicurezza) e i detenuti al fine di rendere più sereno e condiviso il clima carcerario
4. Conoscenza di tutto quanto ruota intorno al teatro (Luci, scene, costumi, fonica)
5. Rapporti continuati con la comunità esterna attraverso incontri con esponenti dei vari settori teatrali, da quelli artistici a quelli tecnici
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Percorso formativo per il laboratorio teatrale
“Traversando il ponte”
- Struttura del percorso formativo
La finalità del percorso è quella di avvicinarsi al teatro creando un ponte tra se stessi e gli altri, attraverso la conoscenza e la canalizzazione delle proprie emozioni e delle proprie esigenze espressive. Questo per consentire all’allievo di capire quali sono le proprie capacità non imponendole “ex cathedra” ma facendole scaturire da ogni singola interiorità. Codesto processo porterà in ogni l’allievo la volontà e la necessità di interagire con gli altri creando non tanti singoli che formano un gruppo bensì un gruppo formato da diverse individualità.
Il percorso prevede i seguenti moduli:
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Regia
Il modulo verrà diviso in due parti: la prima, propedeutica alla comprensione delle tecniche di recitazione e all’allestimento tecnico di palco; la seconda, più propriamente dedicata alla “messa in scena” di una piece teatrale con pubblico.
Questo modello consentirà all’allievo di appropriarsi in un primo momento di quelle nozioni culturali che sono imprescindibili per la comprensione del testo, per la scelta recitativa, per il coordinamento di tutte le altre componenti più propriamente tecniche che renderanno più fruibile il prodotto finale.
Anche la musica avrà il suo spazio all’interno del modulo perchè un regista, un attore, un tecnico che conoscono quantomeno gli elementi basilari della musica stessa, sarà certamente favorito nello svolgimento del compito che il ruolo gli riserva.
Oltre a ciò, la prima parte del modulo servirà all’allievo per conoscere e poi scegliere il linguaggio teatrale della comunicazione con il pubblico.
La seconda parte sarà, come detto, dedicata all’allestimento di una piccola piece teatrale scelta con gli allievi che avrà la particolarità di mischiare continuamente le carte in tavola, cioè scambiando i ruoli di ogni singolo allievo che diverrà di volta in volta regista, attore, tecnico. Tutto ciò consentirà ad ogni singolo partecipante non solo di verificare le proprie conoscenze in ogni campo ma anche di comprendere difficoltà ed emozioni di ogni ruolo.
- Nozioni di Storia del Teatro
Quando nasce il teatro? Perchè nasce il teatro? Che significato ha la maschera? Quale la differenza tra tragedia e commedia? Queste sono solo alcune domande cui il corso si propone di dare risposta; ma non attraverso una mera acquisizione di dati, ma proprio cercando di far rivivere le diverse epoche in cui il teatro è nato e si è sviluppato. L’approfondire la storia del teatro dà all’allievo modo di conoscere anche stili, forme, tecniche e tendenze delle varie epoche storiche, nonchè gli aspetti prettamente recitativi che alle diverse forme si accompagnano. Dà modo anche di conoscere come possa essere cambiato l’uso della musica, della scenografia, dei costumi, etc nell’allestimento scenico.
- Alfabetizzazione musicale
La musica avrà grande importanza nel modulo in quanto il teatro è composto da ritmo, suono, pause. Capire la musica, penetrarne i “segreti”, comprenderne i segni grafici, la struttura melodica ed armonica, aiuterà l’allievo a far crescere il senso estetico interiore ed esteriore, accrescendo quel “senso musicale” che è alla base di qualunque ruolo artistico teatrale.
Attraverso l’ascolto di brani non solo di musica classica ma anche contemporanea, etnica e pop, l’allievo verrà guidato, in una sorta di guida all’ascolto, non solo a scendere in profondità rispetto ad una composizione, ma anche a dare spazio e voce a quelle emozioni che la stessa composizione provoca.